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Lo Yin e lo Yang

Caldo, caldissimo! Sono le 13,30 di domenica, appena finito di mangiare e, ringrazio Zesco* per la presenza della corrente e sfrutto al massimo le potenzialità del mio fedele alleato: il ventilatore! Mi vesto, preparo un mini zainetto con l’immancabile litro d’acqua e parto alla volta dell’orfanotrofio di Lubasi, compound a 15 min a piedi da casa. E’ la prima volta che vado a vederlo e a conoscere i ragazzi che ci abitano. La fantasia vola immaginando situazioni disastrate, stanzoni condivisi, caos e invece, dietro quel cancello azzurro, si apre un angolo di pace. Un grande spiazzo di terra rossa con alcuni alberi di mango di diverse tipologie e in fondo, a semicerchio, si distribuiscono tante piccole casette azzurre, tipo bungalow, dove stanno i ragazzi. E’ allo stesso tempo una gioia e un sollievo dovermi ricredere. Che bel posto e che bella energia. Mi dirigo verso l’ufficio della responsabile con la quale avevo preso contatto qualche settimana prima.  Mi accoglie con un gran sorriso e mi conduce da un gruppo di ragazze tra i 7 e i 20 anni che mi accolgono con un po’ di diffidenza ma con occhi ricchi di curiosità. Rimango sola con loro e, superate le prime formalità a chiedere nomi ed età, mi presento e gli racconto un po’ di me, da dove vengo e del perché sarò a Livingstone per 1 annno. Mi piacerebbe diventare per loro allo stesso tempo un’amica e una sorella più grande con la quale affrontare tutte quelle “questioni da donne”. Do il via alle domande e… “possiamo parlare dell’amore?”, “possiamo parlare di come gestire le relazioni a distanza?” mi chiedono due delle ragazzine (una di 20 e l’altra di 15 anni), che inizialmente mi erano sembrate le più timide. “E mo che cosa rispondo?”. Chiedere a me consigli su come gestire le relazioni a distanza mi sembra quasi una candid camera! Ci provo e tiro fuori ricordi e racconti di storia vissuta cercando di fornire più che risposte esempi. Le vedo comunque contente e convinte. Chissà, forse anche semplicemente ascoltarle ed avere almeno 10 anni in più di loro mi dà ai loro occhi quel carisma e quella credibilità che non avrei mai immaginato di avere. Il momento delle confidenze è finito e iniziamo a divertici ascoltando un po’ di musica disco zambiana. Le ragazzine ne vanno matte. Prese da un fremito si alzano e iniziano a muoversi come le ballerine dei video hip pop che siamo abituati a vedere in tv. L’ultima hit è Dorica di tale Chipata boy. Provo a imparare i movimenti ma l’input che do ai miei fianchi sembra rimanere inespresso. Mi mostrano la corretta postura, gambe stese e leggermente divaricate, culo in fuori il più possibile, immagino per cercare di provare a ricreare le loro ben note fattezze, e mi dicono di muovere velocemente le gambe. Boato…la Muzungu ce l’ha fatta!!!!! Vado via alle 5 provata sia dal caldo e dall’indolenzimento di muscoli mai conosciuti prima.

E’ già lunedì mattina, sono le 9 e precisa come un orologio svizzero mi catapulto in falegnameria. “E’ l’ora del weekly plan Ben”. L’espressione sul viso di Benjamin non è delle più entusiaste! Chiama anche l’altro carpentiere Mabunga e si inizia ma stavolta è Ben a prendere in mano un foglio bianco e una penna e a tracciare, come ho fatto io fino il lunedì precedente, la tabella con i nomi e l’orario giornaliero. Mi sfrutta solo come spalla e confronto per capire come incastrare qualche attività. Ore 10.30, il weekly plan e pronto! Giusto il tempo di metterlo in formato excel e stamparlo in modo che Ben possa attaccarlo alla bacheca della falegnameria. Ma alle 11,30, la giornata lavorativa è già praticamente finita, il mio Olp mi contatta d’urgenza e mi chiede di chiudere tutto e di prepararmi alla partenza per Lusaka per andare a ritirare il work permit, data l’imminente scadenza del visto. All’ufficio dell’immigration di Livingstone infatti, dove era appena passato per richiedere l’estensione del visto turistico, gli avevano chiesto di rinviare l’intera documentazione, già inviata più di 2 mesi fa da tutti noi dall’Italia, per ricominciare tutte le procedure per la richiesta del permesso di lavoro. Non avevamo altra scelta, io e Silvia torniamo a casa di gran corsa e prepariamo lo zainetto per la breve gita a Lusaka. Partenza in bus alle 13,30, arrivo previsto per le 21.30 a Lusaka. Gli zambiani sono ben noti per la guida spericolata, se a questo aggiungi il pericolo dell’attraverso improvviso di mucche o l’assenza di illuminazione pubblica, non puoi non definire avventura un viaggio da una città e l’altra. Le ore passano abbastanza veloci, una chiacchiera con Silvia, qualche selfie per la mamma e gli amici, musica di un vecchio ipod e qualche puntata di friends che per fortuna avevo spostato dalla memoria esterna al pc giusto quella stessa mattina. Siamo a Lusaka e ad accoglierci ci sono i nostri due salvatori Marco e Francesco che fanno il servizio civile lì. Essere con loro è come essere a casa. Ci sono mancati e rivederli e davvero una gioia. La serata praticamente vola tra chiacchiere e racconti di questo mese appena passato “sul campo”.

Il giorno dopo sveglia all’alba e dritti all’immigration office! Dopo qualche ora..eccoli i nostri work permit, è definitivo, siamo Zambiane per 2 anni!!

Il giorno dopo si rientra a Livingstone con il pullman della mattina. Eravamo di nuovo a casa e ne eravamo felici. Lusaka ricorda tanto una città americana con Mals, catene di ristorazione, ipermecati. E’ una città estremamente caotica ed occidentale, sede di tutte le istituzioni internazionali, niente a che vedere con Livingstone dove la parola “traffic” è utilizzata solo per far riferimento all’unico traffic light (semaforo) della città che trovi sull’unica via principale Musi oa Tunia**. Ma questo poco tempo passato qui mi ha fatto capire che anche a Livingstone è facile perdersi e sentirsi disorientati e travolti dal caos. Succede quando dopo una giornata nell’arsura del compound ti portano a fare una crociera di 2 ore sullo Zambesi al tramonto. Quando per il troppo caldo, nel week end, decidi di farti un tuffo nella piscina del David Livingstone Hotel. Quando decidi di vedere il tramonto dalla terrazza del Waterfront o quando entri da Shoprite per fare la spesa. Ti senti disorientato, strattonato ma allo stesso tempo sedotto da questi due mondi. Il comfort, le abitudini e la vita che hai conosciuto per 28 anni si scontra con la semplicità e quella verità che ricerchi da una vita. Avverti la paura di non portare a casa quelle emozioni e quelle sensazioni che credi che solo lo sguardo e il saluto di uno dei bimbi del compound ti possano dare. E’ lì che partono i conflitti interni, i silenzi, le paure, il giudizio: ed è caos. Hai paura di sbagliare, hai paura di guardarti indietro alla fine del percorso e di esserti immerso solo in parte in quella realtà. Vai a tentativi, alterni le esperienze, ti interroghi, ti senti in colpa ma allo stesso tempo gioisci per le opportunità che questa esperienza così unica ti sta dando. Forse basta solo imparare ad accettare, basta solo bloccare ogni processo mentale e vivere a pieno tutto quello che questa esperienza può darti. Livingstone è anche questo. Livingstone è il compound e la piscina di un lodge di lusso, è l’orfanotrofio di Lubasi e il pub con musica caraibica downtown, è la crociera sullo Zambesi e il mercato del Maramba. Livingstone è qui e ora ed è un’occasione unica per abbandonare vecchi schemi e quell’ansia da prestazione che mi attanaglia da anni. Credo valga la pena provarci, non trovate? Dopotutto il viaggio è appena iniziato!

Buon inizio settimana

 

*Gestore nazionale dell’energia elettrica in Zambia

**In lingua locale il fumo che tuona. E’ il nome locale per le cascate Vittoria (una delle 7 meraviglie del mondo)

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